Un habitat devastato dal libero mercato
Piero Bevilacqua
Il Manifesto, giovedì 15 novembre 2012
Piero Bevilacqua
Il Manifesto, giovedì 15 novembre 2012
E
noi cittadini dobbiamo costituirci parte civile Intervenire sulle
alluvioni che ogni anno provocano disastri ambientali e morti in qualche
angolo della penisola fa sentire come i sacerdoti che celebrano uno
stanco e inutile rito, cultori di una religione ormai spenta. L'Italia
impone ai suoi osservatori l'eterno ritorno dell'eguale. Eppure corre
sempre l'obbligo di ripetere, di tenere vive le armi della critica, di
ricordare. La lotta è fatta anche di ripetizioni e di repliche. E in
questo caso sono più che mai necessarie. Quello che è accaduto in questi
giorni nel grossetano e nell'Umbria meridionale è infatti il nuovo
capitolo di uno spettacolo a puntate che si ripete ormai puntuale in
ogni autunno e inverno. E occorre anche aggiungere che questa volta
l'esito sarebbe potuto essere ben più tragico, se la pioggia avesse
continuato a cadere per un altro giorno. Pochi sanno, infatti, che la
diga di Corbara che sbarra il Tevere - poco distante dallo scalo di
Orvieto, dove è tracimato il fiume Paglia - era minacciosamente colma,
mentre i caseggiati di Ciconia e dintorni erano già allagati. Se il
maltempo avesse continuato il suo corso, si sarebbe reso necessario
aprire la diga con conseguenze imprevedibili , ma.sicuramente
devastanti, per tutti i centri abitati lungo la Valle del Tevere fino a
Roma. Il ritorno del bel tempo ci ha risparmiati da ulteriori danni e
vittime, lo spuntare del sole ha evitato una catastrofe. Ma fino a
quando dovremo affidarci al caso, alla buona sorte, alla cessazione
benigna di un temporale per evitare alluvioni, frane, morti,
devastazione di case e imprese, distruzione di strade e ponti? Non è
evidente ormai a tutti che l'intero territorio nazionale P in pericolo?
Che bastano pochi giorni di pioggia intensa, concentrati in una
qualunque area, per determinare danni ingenti alle popolazioni e agli
habitat, imponendo poi costosissime ricostruzioni? Appare evidente che
oggi paghiamo a caro prezzo una urbanizzazione selvaggia, la quale ha
coperto disordinatamente di costruzioni e infrastrutture un territorio
che è fra i più vulnerabili dell'intero bacino del Mediterraneo. L'acqua
che scende dalle Alpi o dall'Appennino è sempre meno assorbita dai
campi agricoli o incolti delle colline e delle pianure, ormai non più
abitate dai contadini, ed è al contrario resa più vorticosa nel suo
corso dall'asfalto e dal cemento che incontra. Un paese, tra i pochi in
Europa, privo di una legge urbanistica , che ha assistito con poche
resistenze a una svolta inaudita. Alla consueta attitudine illegale di
classi dirigenti e popolazioni a occupare il territorio con costruzioni
abusive ( che hanno sfigurato tante nostre città) è venuta in sostegno
la versione italiana del neoliberismo: il verbo che ha fatto dei nostri
habitat delicati materia di "libero mercato". Oggi, dopo tre decenni di
furia "liberale", il territorio nazionale mostra le stirante della sua
trasformazione mercantile, riplasmato, com'è dalle spinte caotiche delle
convenienze private: terre d'altura e aree interne in stato di
abbandono, valli e pianure - la polpa ricca - intasate di popolazione,
edifici, strutture produttive, vie di comunicazione. Qui l'acqua piovana
non ha più spazio. come era accaduto in tutti i secoli passati, e
perciò appare come il grande nemico. Come e quanto può durare tale
conflitto tra le forze imprevedibili della natura e i nostn abitati?
Ebbene, questa drammatica novità storica impone oggi un nuovo
atteggiamento della pubblica opinione nei confronti delle classi
dirigenti italiane e del ceto politico nazionale. Sappiamo da studi
decennali che all'Italia è toccato in sorte un paradossale destino. ll
paese fisicamente più fragile d'Europa (insieme all'Olanda) è stato
governato da classi dirigenti prive di ogni cultura territoriale,
sguarnite anche delle più elementari forme di consapevolezza, di memoria
storica dei caratteri dei vari habitat locali e dei loro delicati
equilibri. Tale carattere originale della nostra cultura, il suo
sdradicamento metafisico dalle condizioni materiali della vita, oggi
rappresenta una minaccia per la collettività nazionale. A questa
incultura originaria si aggiunge la religione della crescita che
alimenta nuovi e disordinati appetiti speculativi nei confronti del
nostro territorio. Ancora oggi il suolo nazionale non appare come un
habitat da proteggere, per tutelare i beni, la ricchezza storica del
paese dagli eventi atmo *** sferici, ma come la materia prima per
continuare a crescere, come recita la superstizione contemporanea. E'
altamente esemplare che un paese, il quale ha i problemi drammatici che
osserviamo puntualmente ad ogni inverno, si ostini a progettare il Tav
in Val di Susa. I nostri governanti sono pronti a sperperare svariati
miliardi per un'opera inutile e non trovano tempo. energia, risorse per
mettere in campo un progetto assai meno costoso e generatore di nuove
economie finalizzato a proteggere il nostro territorio in pericolo.
Ebbene, credo che sia tempo di rendere evidente il carattere drammatico
che ormai occorre dare alla nostra opposizione. Abbiamo mostrato in
altre occasioni che il territorio può essere messo in salvo solo
attraverso una vasta opera di ripopolamento e valorizzazione delle aree
interne. Ma oggi occorre agire anche con misure di urgenza. E' necessano
chiarire che tutte le nuove costruzioni, tutte le manipolazioni
dell'habitat che si progettano e si realizzano in Italia sono contro
l'interesse collettivo, minacciano il bene comune della sicurezza
nazionale. Ogni metro quadrato di nuovo asfalto o cemento sottrae spazio
alle acque, accresce la vulnerabilità dei nostri abitati e delle nostre
vite. Non possiamo più tollerarlo. Credo che ormai bisogna incominciare
a considerare sotto il profilo penale gli interventi che consumano
suolo. Questo bene non è infinito, esso è la spugna che assorbe l'acqua.
è dunque un bene di tutti che ci protegge , chi lo cementifica rende
più pericolosi i nostri abitati, rende più insicura la nostra
incolumità, le nostre case, i nostri beni, i nostri animali. E' perciò
necessaria una iniziativa legislativa che dia nuovi strumenti
all'interesse collettivo oggi cosi gravemente minacciato. Occorre
rendere possibile, alle associazioni impegnate nella difesa del
territorio e del paesaggio, di costituirsi parte civile nei vari luoghi
dove si progetta il consumo di verde, da configurare, com'è ormai
drammaticamente necessario, quale fattispecie criminale. Privati,
amministratori locali, imprenditori non possono più utilizzare come bene
privato ciò che con tutta evidenza appare un bene comune intangibile e
irrinunciabile.
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