giovedì 29 settembre 2011

Paesaggio, oro d’Italia: vale 20 miliardi

Paesaggio, oro d’Italia: vale 20 miliardi
GIOVEDÌ, 18 AGOSTO 2011 IL giornale

LO STUDIO La Camera di commercio di Monza valuta il brand Belpaese

Chianti e Costiera amalfitana le zone più preziose. Colosseo e Duomo di Milano i fuoriclasse tra i monumenti
Non sono in vendita, né mai lo saranno, nemmeno nella crisi economica più nera, ma sapere che questi segmenti di Italia valgono così tanto dà un certo ottimismo e persino, pur trattandosi di vil moneta applicata alla bellezza senza tempo, un certo orgoglio. Colline del Chianti: 3,9 miliardi di euro. Costiera amalfitana: 3,5 miliardi. Versilia: 1,9. E via così. Fino a raggiungere una cifra complessiva di 20 miliardi di euro, spalmati su una dozzina di luoghi d’elezione. A stilare la classifica è stato l’Ufficio studi della Camera di Commercio di Monza e Brianza, partendo da un piccola notizia: se la Finlandia aveva chiesto in garanzia alla Grecia, per il famigerato salvataggio economico, beni di Stato come l’Acropoli, il Partenone e alcune isole incantevoli, non sarebbe quanto men- o opportuno sapere la cifra cui ammontano i nostri paesaggi più preziosi?
Dio non voglia che occorra ipotecarli - non è andata così nemmeno per la Greciama di certo abbiamo in casa l’equivalente e più di una manovra finanziaria piuttosto spinta. La Camera di Commercio ha poi valutato anche i singoli monumenti: il Colosseo a Roma sfiora i 91 miliardi, il Duomo di Milano 82, i Musei Vaticani, che comunque non sono in Italia, 90. Gli strumenti per stimare il nostro patrimonio paesaggistico sono stati l’Anholt Brand Index associato a dati di Registro delle Imprese, Istat, Agenzie del territorio, Regione Lombardia, Banca d’Italia. Tutto all’interno del progetto Eri, Economic Reputation Index, illustrato dal libro L’importanza di chiamarsi Brand (
Guerini e Associati). Questo «rating» molto positivo sui nostri luoghi rappresentativi (e per alcuni la valutazione poteva essere anche maggiore) ha tenuto presente anche il valore economico del territorio, la spesa dei turisti e il valore medio degli immobili. Ecco perché al top ci sono anche aree meno rinomate.

sabato 17 settembre 2011

I paesaggi dell'Italia tesoro miliardario

I paesaggi dell'Italia tesoro miliardario
Robert Tosin
Il Piccolo - Trieste 18/8/2011

Misurato il brand delle più belle località turistiche della Penisola
Il Chianti vale 4 miliardi, la costiera amalfitana 3,5. Brianza batte Cinque Terre

Altro che manovra. Se l'Italia potesse mettere sul mercato solo il suo brand, cioè il "marchio" potrebbe incassare decine di miliardi di euro. Lo certifica uno studio della Camera di commercio di Monza e Brianza che, in base a precisi parametri, ha calcolato il valore delle bellezze paesaggistiche della Penisola. Scoprendo valori di assoluto rilievo, ottenuti valutando il numero dei turisti richiamati, la dotazione alberghiera, la riconoscibilità del nome e il valore medio degli immobili. La regione che da questo punto di vista vale di più è la Toscana, dove solo le colline del Chianti sono stimate 4 miliardi di euro. Ma nel Belpaese ci sono altri gioielli niente male, per cui se qualcuno chiedesse garanzie economiche a fronte di prestiti (come ha fatto la Finlandia, che chiedeva un'ipoteca sull'Acropoli e sul Partenone in cambio di soldi per salvare l'economia della Grecia) avrebbe solo l'imbarazzo della scelta. Andiamo al mare? Ebbene, la costiera amalfitana vale 3,5 miliardi solo per il nome conosciuto in tutto il mondo, ma pure la riviera romagnola, da Rimini e fino al Conero può vantarsi di valere 2,3 miliardi di euro. La Versilia di Forte dei Marmi vale quasi 2 miliardi di euro. Curiosamente la Costa Smeralda tanto celebrata vale qualcosa meno, solo 1,5 miliardi, tanto quanto il Salento, mentre le Madonie siciliane sono stimate 2 miliardi di euro. Dal mare alla montagna, con le Dolomiti - da poco elette Patrimonio dell'umanità - sugli scudi, dall'alto di un valore stimato in 1,1 miliardi di euro. Tra i gioiellini minori c'è una piccola sorpresa: la Brianza (che però comprende anche i laghi tanto cari di questi tempi a George Clooney) ha un brand più pesante delle incantevoli Cinque Terre. Ma non stiamo comunque parlando di bruscolini: la prima vale 980 milioni di euro, le seconde "solo" 725 milioni. Una classifica di tutto rispetto che ben pochi altri Paesi al mondo potrebbero vantare. Secondo lo studio della Camera di commercio, che si basa su parametri reali pur avendo a oggetto un patrimonio non tangibile come quello del "nome" di un paesaggio (ma d'altra parte si fa così anche con i marchi dei prodotti più conosciuti, che hanno un valore al di là della produzione e della resa economica in sè), complessivamente l'Italia potrebbe mettere nel listino di un ipotetico mercato un patrimonio da 20 miliardi di euro.

Il Colosseo: marchio da 91 miliardi
Se i paesaggi italiani valgono solo per il nome e per le sensazioni che portano con sé, per i ricordi e le immagini, ci sono invece monumenti che portano le quotazioni a livelli da capogiro. Quanto può valere, infatti, il Colosseo? Prima della Camera di commercio di Monza e Brianza due conti deve averli fatti anche il patron di Tod's, Della Valle, che si è preso in carico un restauro milionario. E i conti li ha fatti di sicuro bene: il monumento italiano più celebre al mondo, secondo i calcoli che stimano il peso del brand, vale 91 miliardi di euro. incredibile? Certo che no, visto che basta attraversare il Tevere per trovarsi nei Musei Vaticani, il cui solo nome vale 90 miliardi di euro. E Milano, l'altra capitale d'Italia? Si deve accontentare del suo Duomo protetto dalla Madonnina: vale solo 82 miliardi di euro.

venerdì 16 settembre 2011

A Crotone, trivelle Eni su tempio greco

A Crotone, trivelle Eni su tempio greco
Alessia Candito
Terra 16/9/2011
Calabria. Protestano ambientalisti e residenti: il nuovo pozzo è nei pressi dell'area archeologica e praticamente affacciato sul parco marino. Eppure i permessi, ministeriali e degli enti locali, ci sono

Ai piedi di quello che fu il tempio di Hera, tra la scogliera di Capo Colonna e la riserva marina, nel crotonese, c'è movimento. A pochi metri dall'unica colonna dorica rimasta del santuario della dea, la Jonica sas, controllata del colosso dell’energia Eni, vuole scavare. Stando ai piani dell'azienda, un trivellatore direzionato , posizionato sulla sponda, presto inizierà a perforare il sottosuolo marino alla ricerca di metano, fino all'esaurimento del giacimento. Un'operazione che secondo la controllata del cane a sei zampe durerà almeno 220 giorni. Del resto, è una zona che i tecnici Eni conoscono bene e sfruttano da tempo. Dai fondali crotonesi, l'azienda estrae 17 miliardi di metri cubi l'anno, gas sufficiente a coprire il 16 per cento del consumo nazionale. Ma all'Eni non basta, c'è da aprire un nuovo pozzo. Un progetto impossibile da realizzare, almeno sulla carta. Troppo vicino all'area archeologica e praticamente affacciato sul parco marino. Eppure, la Ionica spa sembra avercela fatta. Il ministero dell'Ambiente, di concerto con quello dei Beni Culturali, ha espresso giudizio positivo di compatibilità ambientale per la realizzazione del nuovo pozzo Eni, chiamato "Hera Lacinia 18". Un beffardo omaggio alla dea, per gli ambientalisti della zona, che ricordano «in nome di Hera un tempo si erigevano templi e oggi si distruggono fondali e territorio». Anche le autorità locali sembra non abbiano fatto alcuna resistenza nel fornire nulla osta, autorizzazioni e pareri necessari. Poi allegati dall'azienda al plico spedito al ministero. Si va dal Comune di Crotone, che ha attestato la compatibilità del pozzo con la destinazione «agrituristica» della zona, alla Soprintendenza dei beni paesaggistici che ha ritenuto l'opera compatibile «con i valori paesaggistici riconosciuti dal vincolo ed alle finalità di tutela» (autorizzazione 14/2010). Anche l'ente preposto alla tutela del patrimonio archeologico non ha negato il proprio beneplacito al progetto, ma ha specificato che i lavori dovranno avvenire «sotto l'alta vigilanza di nostro personale tecnico-scientifico». Autorizzazioni e pareri troppo benevoli, per i cittadini della zona. Circostanze che richiedono un'immediata chiarificazione, secondo il capogruppo Pd alla Provincia di Crotone, Ubaldo Schifino, per il quale «l'Eni non può continuare a perseguire i propri esclusivi interessi economici, spalleggiata da "faccendieri" nazionali e locali senza scrupoli». Chiamate in causa, Regione, Provincia e Comune fanno a gara per non rimanere con il cerino in mano. Nessuno dei componenti della giunta della Calabria sembrava essere a conoscenze delle trivellazioni Eni: «Tale nuova attività era stata segnalata alla precedente amministrazione», ha fatto sapere la «rammaricata» vicepresidente, Antonella Stasi. «Per avere delucidazioni urgenti» è stato convocato il 20 settembre un tavolo di confronto con Eni e Ionica Gas. «Un ruolo del tutto marginale nella concessione dell'autorizzazione», avrebbe invece avuto la Provincia. secondo l'assessore all’Ambiente Ubaldo Prati, che punta il dito contro ministero e Comune. Che si limita a tacere. Nel frattempo, il procuratore di Crotone Raffaele Mazzotta ha disposto un'indagine conoscitiva sui lavori. Allo stato, non c'è ancora nessun indagato ma la Capitaneria di Porto di Crotone investigherà sia sul nuovo pozzo che sulla piattaforma offshore Eni comparsa giorni fa davanti alla città dello Jonio. Ufficialmente, rimarrà in mare solo 4 mesi per provvedere alla manutenzione di quelle esistenti, "Hera Lacinia 14" e "Luna A", niente nuove perforazioni, né nuovi pozzi. Eppure la popolazione, da giorni riferisce di strani boati notturni, che i più temono riconducibili a nuove perforazioni. Un nuovo spettro che si aggiunge a quello della subsidenza che sta lentamente facendo sprofondare l'intera Provincia. Nonostante non esistano studi ufficiali che attestino un legame diretto tra il progressivo sprofondamento del territorio e l'estrazione di gas, il rischio secondo alcuni esperti è più che concreto. Le attività di perforazione ed estrazione - sostengono - possono provocare la progressiva compressione dei sedimenti degli strati sovrastanti e sottostanti la zona produttiva. In prossimità della costa, questo si traduce in abbassamenti significativi del suolo in aree più estese della proiezione in superficie dei perimetri degli stessi giacimenti. Un rischio che Crotone aveva deciso di correre inseguendo il miraggio dei posti dei posti di lavoro, dei sussidi e benefici che l'Eni aveva promesso, rimasti però solo sulla carta.